INTERVISTA A CHIARA CECUTTI

INTERVISTA A CHIARA CECUTTI 
Cosa vuol dire oggi essere donna manager?
Non è mai stato facile per una donna farsi strada in un mondo considerato patrimonio maschile: ancora oggi le donne devono lottare, dimostrare di saper fare e di essere all’altezza molto più di quanto siano chiamati a fare gli uomini. È naturale che, essendo cresciute con un modello maschile di leadership, molte lo abbiano seguito o abbiano creduto di doverlo seguire per andare avanti. Anche se non sempre un’adesione al maschile si rivela efficace: quando non soccombono, o quanto meno non demordono, le donne manager rischiano infatti di travalicare i principi di una sana assertività in favore di un’aggressività che viene loro sempre meno perdonata. 
Quindi è anche una sfida?
Certo. Oggi la vera sfida per la donna che ambisce a crescere professionalmente è a mio avviso quella di riuscire a sviluppare una managerialità efficace al femminile, ovvero non solo nel rispetto delle proprie caratteristiche, ma addirittura attingendo ai punti di forza più profondamente connessi con la propria natura. 
Anche tu come donna hai lavorato in ambienti quasi del tutto maschili, se non altro all’inizio.
Ovviamente. All’inizio della mia carriera mi sono trovata a lavorare quasi esclusivamente con manager uomini. Negli ultimi anni invece finalmente, e sempre più spesso, ho avuto la possibilità di lavorare anche con donne manager, che invece un tempo latitavano. Mi piace molto interagire con loro, mi piace molto poterle aiutare a utilizzare la loro forza e determinazione mentre mantengono al contempo terreno sul fronte della sensibilità, dell’ascolto e dell’empatia. Essere femminili sul lavoro non va certamente confuso con l’essere seduttive, cosa che anzi delegittima pesantemente le capacità professionali delle donne. 
Spieghiamo meglio.
La donna deve conservare sempre la sua femminilità. Però è necessario che non perda la fermezza, e la dimostri con morbidezza per realizzarsi nel rispetto della propria natura. Questo perché le donne in carriera sono spesso brillanti, veloci nel pensiero, molto orientate al risultato, talvolta però a discapito dei rapporti fra colleghi.
Come mai hai deciso di scrivere questo libro?
Ho pensato di scrivere questo libro (raccontando anche alcune delle loro storie) per supportare il maggior numero di donne possibile ad avanzare con fiducia nel mondo del lavoro. E senza rinunciare alla famiglia per la carriera (ma nemmeno alla carriera per la famiglia) e in particolare ai figli, se desiderano procedere su binari paralleli e contemporanei. Punto, questo, sempre più attuale e spesso ancora dolente: oggi la maggior parte delle donne manager vuole infatti realizzarsi in tutti gli ambiti della propria vita e credo sia importante parlare loro di chi ce l’ha fatta, e ce la fa, e di quali siano i requisiti ambientali utili per poterci arrivare con successo.

In Italia usiamo la parola coach molto spesso in modo improprio. Qual è il suo vero significato?
Nella lingua di origine, il sostantivo “coach” (riferito a persona) indica primariamente l’allenatore sportivo e, a seguire, la figura dell’insegnante, istruttore, maestro o tutor. Il termine viene abbinato al settore al quale si riferisce come per esempio nel caso del “voice coach” o del “vocal coach” (che si usa anche televisivamente nei talent show musicali) che indicano, in questi casi, applicazioni rispettivamente collegate all’uso della voce e al canto gestite da esperti nel ramo in cui allenano o delle materie che insegnano. Ma il coaching puro, quello di cui racconto e di cui mi occupo, è di altra natura. 
Racconti di un lavoro, il tuo, che non tutti sanno cos’è. Lo vogliamo spiegare?
Il coaching, inteso come Executive o Life Coaching, si può descrivere come una dinamica gestita da un coach professionista – che dovrebbe essere accuratamente formato ad hoc –  che, anziché occuparsi di insegnare una tecnica specifica, sportiva o artistica a qualcuno che ne è carente o che intende migliorarla, si dedica ad agevolare e supportare le persone in un percorso che possa aumentare consapevolezza di sé all’interno di una relazione di partnership paritaria. La finalità è di far identificare, sviluppare e valorizzare al fruitore quelle strategie di pensiero e di comportamento utili per raggiungere più facilmente e più velocemente obiettivi di natura sia personale che professionale, identificando “la differenza che fa la differenza” (in termini di organizzazione dell’esperienza) tra l’ottenere o meno un buon esito.
Che tipo di rapporto si instaura fra te e i tuoi interlocutori?
Come accennato si tratta di una relazione di partnership paritaria. Sintonia, fiducia reciproca e certezza di remare insieme, credo possano sinteticamente descrivere ciò che si instaura fra me e le figure con le quali opero. È naturalmente scontato che durante le sessioni di caoching mi vengano riconosciute le competenze del ruolo che in quel momento rivesto, ciò non toglie che il mio compito sia pormi come facilitatore in ascolto attivo, empatico e avalutativo, e non come insegnante. Morbidezza, fermezza e sincerità emotiva: sono questi i punti saldi del mio modo di essere, oltre che di fare il coach che caratterizzano il mio modo di lavorare.


Chi sarà il lettore tipi della tua opera?
Soprattutto donne manager, libere professioniste, imprenditrici e donne in genere, ma anche uomini – manager e non –  che si interfacciano con il mondo del lavoro o che vi si stanno approcciando. Certamente anche responsabili, operatori e consulenti nell’ambito delle Direzioni del personale, delle Risorse umane e delle Politiche di genere. Con una battuta aggiungo: uomini che non odiano le donne, neanche quelle del Terzo Millennio che sempre più vogliono realizzarsi nel lavoro senza rinunciare alla famiglia.

by Gianni Lupo

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